-Ne
abbiamo parlato il 13 gennaio, presentando la testimonianza di
Giacomo Cutrera
(http://aurora-brescia.blogspot.it/2013/01/una-storia-di-dislessia.html
) e avremo modo di parlarne con un'iniziativa che si terrà a Mazznao
il prossimo 22 marzo. Anche in Italia, finalmente, stiamo prendendo
coscienza della DISLESSIA, che non rimane più argomento per soli
addetti ai lavori, ma entra a far parte della cultura diffusa. Lo
attesta l'articolo pubblicato sabato 23 febbraio dal Corriere della
Sera, scritto da Franca Porciani, giornalista specializzata sui temi
medico-scientifici, in questo favorita dalla laurea in medicina e
dalla professione medica svolta per alcuni anni, prima di passare in
forza al Corriere.
Prima
di riprendere quanto scritto da Laura Porciani, merita di essere
segnalato il sito http://www.aiditalia.org/
, della Associazione Italiana Dislessia, utile riferimento per tutti
coloro che vogliono acquisire ulteriori informazioni e indicazioni
sul tema.
Per
un primo inquadramento, molto utile – sul sito A.I.D. - la pagina
“Cos'è la dislessia”
(http://www.aiditalia.org/it/cosa_e_la_dislessia.html
)
Vediamo dunque cosa ci spiega l'articolo del Corriere, con l'impegno di ritornare sull'argomento in occasione dell'incontro del prossimo 22 marzo, organizzato dalla nostra associazione in collaborazione con Istituto Comprensivo di Mazzano, Associazione Genitori e A.I.D.
«Un
tempo erano bambini discoli, disattenti, disordinati; oggi,
tramontata l'epoca delle punizioni, si chiamano dislessici,
discalculici, disgrafici. Finalmente la definizione corretta di un
disagio che, attenzione, non è una malattia». Giacomo Stella,
psicologo clinico, docente all'università di Modena e Reggio Emilia,
una sfilza di libri e una vita dedicata alla dislessia, è
soddisfatto: in Italia c'è una nuova sensibilità al disturbo, c'è
una legge (la 170 del 2010) che gli dà piena identità e stabilisce
quali strumenti di appoggio ed esenzioni debbano essere adottati, c'è
la presa in carico degli insegnanti.
Ma
oggi le scuole sembrano traboccare di dislessici; non c'è classe
dove almeno un ragazzino non sia in crisi con la lettura,
l'ortografia o le tabelline. Le cifre ufficiali parlano del 5 per
cento della popolazione scolastica e i nuovi casi superano i
trentamila all'anno. È una nuova epidemia, oppure l'attenzione ha
preso la mano a tutti? Difficile dirlo anche perché si sospetta che
la «trasparenza» dell'italiano, ovvero il fatto che si legga come
si scrive, abbia per troppo tempo occultato la reale incidenza del
disturbo in Italia, problema prorompente nei paesi anglosassoni, dove
sfiora l'8 per cento. Spiega Valentina Bambini, ricercatrice del
centro di Neurolinguistica e sintassi teorica della Scuola superiore
universitaria IUSS di Pavia: «Se ci esprimiamo in termini di fonemi
e grafemi (le unità della lingua parlata e scritta, ndr ), la
differenza è impressionante: l'italiano ha circa 25 fonemi e 33
grafemi, fra la fonologia e l'ortografia la sovrapposizione è
pressoché totale; l'inglese ha 40 fonemi e 1.120 grafemi, una lingua
ostica, inevitabilmente, per chi ha problemi con la lettura. Già nel
1985 su mille studenti americani e italiani, una ricerca mise in
evidenza una frequenza della dislessia negli Stati Uniti doppia che
in Italia».
E
i metodi di studio del cervello sofisticati, in grado di scoprire
quali aree cerebrali sono attive mentre si svolgono certe azioni e
compiti, che cosa hanno aggiunto alla conoscenza della dislessia?
Qualcosa hanno spiegato di quella che un tempo gli stessi scienziati
chiamavano con un'espressione colorita, ma spia di grande ignoranza,
la «cecità delle parole», dimostrando, ad esempio, che c'è una
diversa densità della materia grigia a livello del lobo temporale
sinistro del cervello, quello più implicato nel riconoscimento e
l'elaborazione visiva del linguaggio. Una «neurodiversità», la
definisce Giacomo Stella. Presente in uguale misura in dislessici
adulti inglesi, francesi e italiani stando a uno studio pubblicato
sulla rivista Brain da vari ricercatori tra i quali Daniela
Perani, neuroscienziata dell'università del San Raffaele di Milano.
Diversità che deve essere sostenuta, ma non guarisce «visto che in
età adulta - precisa Stella - la dislessia è ancora presente nel 75
per cento di quelli che ne hanno sofferto da piccoli». Confermando
l'ipotesi che qualcosa di ereditario ci sia. Il bambino oggi viene
aiutato con vari strumenti: registratore, programmi di videoscrittura
con correttore ortografico, calcolatrice. «La normativa non prevede
l'insegnante di sostegno, per cui il lavoro aggiuntivo può diventare
un carico pesante per l'insegnante - ci informa Francesca Conti,
professoressa di scienze in una scuola media dell'hinterland milanese
-. Fortunatamente cominciano ad essere disponibili, offerti in
omaggio dalle case editrici in questa fase sperimentale, libri
studiati per i dislessici, che facilitano la lettura attraverso
espedienti di colore, di maggiore distanza fra le frasi, di
sottolineatura di parole chiave. Ma nel corpo insegnante c'è tanta
paura di sbagliare».
Fenomeno
confermato da Jubin Abutalebi, docente di neuropsicologia
all'università del San Raffaele di Milano che vede molti di questi
bambini (per legge sono le Asl e gli ospedali che devono fare la
diagnosi): «Spesso arrivano alla nostra osservazione ragazzini
definiti dislessici dagli insegnanti, che ad un esame approfondito si
rivelano normali». Dove sta la verità? Secondo Abutalebi (e non
solo) solo studi ulteriori chiariranno meglio questa «diversità»
dei dislessici.
Corriere
della Sera sabato 23 febbraio
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